La soffitta è immersa nell’oscurità, la luce della piccola finestra illumina appena l’angolo dei ricordi, quel pezzetto di casa che tutti prima o poi decidono di crearsi e dove il tempo va a posare la polvere che attraversa tutta una vita.
Anni dopo, è quella polvere che si va a pulire più volentieri, perché sotto ci sta qualcosa da ritrovare. Come fosse brace, togli la polvere e i pensieri si riaccendono. Lisa prende il cofanetto di legno, fa leva con il pollice e solleva il coperchio. Al modo di in un film d’altri tempi, immagina una luce dorata che esce dal piccolo scrigno e illumina uno sguardo curioso e pieno di attese. L’interno è scuro, ma Lisa è sicura che nasconde un oggetto di metallo, uno di quelli che si ripongono e che nel tempo prendono la consistenza dei ricordi. Lei è sicura che è ancora lì, ce l’ha messo tanti anni fa, quand’era ancora una fanciulla. Lisa sente l’acqua negli occhi, li chiude e là, nella nebbia, rivede il mondo attraverso lo sguardo di bambina, nel tempo in cui tutti ancora la chiamavano Lisetta…
Lisetta vede le colline in lontananza che scorrono lente nel finestrino, è avvolta nell'abbraccio e protetta dai pericoli del mondo. “Mamma?” Quel richiamo così dolce fa sempre sorridere la signora.
“Dimmi Lisetta, pensavo che tu stessi dormendo”.
“No, mamma, volevo chiederti se anche a te, quando guardi dal finestrino del treno, sembra di stare a guardare un film”. La signora volge lo sguardo all’apertura, proprio mentre sfrecciano in sequenza le fronde di mille ontani.
“Hai ragione, sai, proprio un bel film a colori, e il verde è quello più prepotente. Anche nei film c’è sempre un colore più forte. È tutta colpa della pellicola, è birichina perché ti racconta un po’ di bugie sui colori”. Lisetta non ha ben capito e resta in silenzio. “Guarda, piccola mia”, dice all’improvviso la mamma, “c’è un colore nuovo!”.
Lisetta si mette a sedere, lo cerca nel finestrino e lo vede. Finalmente una distesa che non è il solito verde smeraldo dei prati ma è l’azzurro chiaro del mare, un colore che le apre il cuore e la fa sorridere. Il fischio improvviso del treno è fatto apposta per salutare il mare e per richiamare l’attenzione dei passeggeri dal sopore del viaggio.
La vacanza, conquistata con le obbedienze e i buoni propositi di un anno intero, è vicina. Sole, sabbia, bagni e tanto tempo insieme a lei, la donna più bella e importante del mondo, la sua migliore amica di giochi...
Ancora il fischio del treno, lungo, acuto, persino fastidioso. Lisetta apre lentamente gli occhi e avverte una fitta alle natiche bagnate e schiacciate sul legno dell’asse. Per un breve istante non capisce dove si trova.
Il fischio del treno c’è ancora, il rollio del movimento, l’eco metallico delle ruote… tu-tum tu-tum tu-tum...
Lisetta alza gli occhi e cerca il finestrino, cerca il mare. Davanti a lei ci sono assi orizzontali, c’è solamente legno, legno grigio sulle pareti, legno nero sul soffitto e legno striato sul pavimento. Lassù, in alto, il finestrino è piccolo, ha le feritoie avvolte con filo spinato e lascia vedere un colore solo, se il grigio può essere un colore. Nella piccola mente torna la paura. Lisetta capisce che se n’era andata solo nel breve tempo di un sonno profondo, un sonno che, cullato dal lento oscillare di un treno, l’aveva riportata al viaggio di un anno prima. Si alza e guarda intorno, la luce che cade dall’alto fende l’oscurità e qualcosa riesce a distinguere. Nel vagone c’è tanta gente, è troppo pieno, tante persone sono in piedi, oscillano e si reggono a vicenda. Qualcuno è seduto con la testa poggiata alla parete, altri hanno le mani nei capelli e forse stanno piangendo. Lisetta sente fastidio ai piedi, sa che sono bagnati perché sul pavimento scorre l’urina. Anche la sua, lo ricorda bene, perché, quando ha chiesto dov’era il bagno, qualcuno le ha detto che poteva farla lì dove stava seduta e di non avere vergogna ché tanto tutte quelle persone facevano allo stesso modo. Il lezzo è insopportabile, ma non quanto la fame. C’è silenzio e il fruscio del vagone le ricorda quello del mare di primo mattino, sulla spiaggia con la mamma, loro due in solitudine a vedere il sorgere del sole.
“Che fai piccola?”. La signora che siede accanto si preoccupa per lei perché è solo una bambina indifesa, proprio come sua figlia, presa dai soldati e finita chissà dove. Lisetta si volta verso quella signora. Ha gli occhi scuri e i capelli raccolti sulla nuca, non assomiglia alla mamma ma è giovane come lei e sa che la può aiutare.
“Dov’è la mia mamma?”
“Te l’ho già detto ieri, la tua mamma è in un’altra carrozza. Quando il treno si fermerà, vedrai che viene a prenderti”.
Lisetta non ne è convinta perché su quel treno viaggiano da alcuni giorni , si è fermato una volta sola ma la grande porta non si è aperta. Da quando sono partiti, nessuno ha mangiato, solamente il vecchio, davanti a lei, a volte mastica e la fissa minaccioso. Anche la sete è tremenda, le lacrime non bastano di certo a dissetarsi. La signora dagli occhi scuri cinge la bambina con un braccio: “Vieni qui, piccola mia”. L’attira a sé e intona la nenia che ogni sera diffondeva davanti al suo camino, con la figlia in grembo. Le ore passano lente, il freddo aumenta, chissà, forse il treno è diretto a nord, la bambina pensa a tutte quelle ore di viaggio e a quanto può essere ormai lontana la sua casa. Ogni tanto Lisetta guarda alle sue spalle e fissa la donna con la pancia grossa. La mamma le ha insegnato che una donna ha la pancia così quando aspetta un bambino. Lei è sdraiata da due giorni e due notti nella stessa posizione e a volte Lisetta le guarda il petto per capire se respira. Ha sentito qualcuno piangere, gridare e dire che è morta, ma la signora che le siede accanto l’ha rassicurata e le ha detto che la donna col pancione dorme e non si sveglia perché è troppo affamata e stanca. Lisetta non ci crede, ma fa finta di crederci e stare tranquilla perché anche la signora dagli occhi scuri ha bisogno di sentirsi utile. Il treno rallenta e si ferma. La grande porta si apre con fragore e il colpo fa oscillare il vagone. Tutta quella gente ammucchiata viene inondata dalla luce grigia, la stessa che per giorni ha guardato dal finestrino col filo spinato. Adesso la bambina li può vedere attraverso una selva di gambe, tra il fruscio di vestiti sporchi e mani che si stringono per infondere coraggio. Alza lo sguardo e vede i volti degli uomini con la barba ispida, le gonne e le facce sporche delle donne. Non dormono da tante notti ma tutti hanno gli occhi spalancati, come se cercassero qualcosa o qualcuno, come per capire quanta dignità possono ancora perdere. Il latrato dei cani si alza improvviso, le urla dei soldati sono incomprensibili ma con spinte e schiaffi fanno scendere tutti dal vagone e li mettono in fila, uno accanto all’altro. La mamma non viene a prenderla, non c’è. Dai vagoni i soldati scaricano dei corpi, c’è anche quello della donna con la pancia grossa, poi buttano acqua che cola subito dal pianale portandosi via la sporcizia di un viaggio nell’inferno. La sosta dura poco. Lisetta è di nuovo rinchiusa nel vagone, accanto alla signora dagli occhi scuri. La bambina trema un poco, la guarda e lo chiede con un filo di voce. “Dove va questo treno?”
La donna le accarezza i capelli e sorride: “va tutto bene, piccola, io penso… io sono sicura che questo treno ci porta al mare. Ci vuole solo tanta pazienza”. Annuisce con forza, così che la bambina possa crederci per davvero. Ma Lisetta è grande abbastanza per capire che la pazienza è troppa e che la gente sul vagone è troppa e che non si piange così tanto quando si va in vacanza. Un viaggio per il mare è diverso, lei lo sa bene. La signora legge ancora la paura nei piccoli occhi, infila la mano in tasca, toglie un oggetto grande quanto una moneta e lo mostra alla bambina.
“Questa”, le sussurra, “è una spilla che porto con me da quando ero piccola. Di che colore è?”.
Tanto è vicino l’oggetto che la bambina deve incrociare gli occhi: “azzurra”.
La signora le solleva il maglione e attacca la spilla alla maglietta, poi lo abbassa come per nascondere il piccolo tesoro. “È una spilla che ha la forma del mare, con tanto di gabbiano e barca a vela”.
Negli occhi di Lisetta, adesso c’è la sincera curiosità dei bambini. “Quando vedi qualcosa di brutto, devi solo mettere la mano sotto al maglione, stringere la spilla, chiudere gli occhi e contare fino a cinque. Lo sai fare?”.
“Cosa, contare fino a cinque? Certo”. Lisetta alza il pugno e solleva le piccole dita mentre fa la conta.
“Brava, fai come ti dico e vedrai che, anche con gli occhi chiusi, davanti a te ci sarà il mare, il gabbiano e la barca a vela. Mi prometti che lo farai?”. Forse questa non è una bugia, anche la mamma, quando la metteva nel lettino, le faceva fare un gioco uguale, e funzionava quasi sempre. Finalmente Lisetta sorride. Ore, poi ancora ore di viaggio, poi di nuovo la notte. Il treno rallenta e si ferma. Tutti si mettono in piedi con gli occhi spalancati. Fuori c’è silenzio e dal finestrino entrano lampi di luce che sferzano le pareti di legno. All’improvviso il portello si apre ed esplodono i latrati dei cani e le urla dei soldati. La signora dagli occhi scuri allunga la mano e stringe quella di Lisetta, con l’altra si mette in testa un piccolo cappello ornato con minuscoli fiori di stoffa, chissà dove l’ha tenuto per tutto quel tempo. Tutti scendono, sanno dove mettersi. Lisetta si sporge e guarda la fila, vede una decina di persone e le altre sono inghiottite dalla nebbia e dalla luce bianca dei riflettori. Sono in un cortile, forse è molto grande perché ci sta addirittura un treno intero. Il freddo è pungente e a tratti soffia un’aria gelida che porta zaffate di un odore strano e fastidioso. Il colpo di aria arriva all’improvviso, più forte e più gelido degli altri, il cappellino della signora sussulta, si sposta di lato e scivola nel fango. Lei allunga la mano e tenta di afferrarlo, non riesce, si muove in avanti e lo rincorre. Un soldato caccia un urlo, forse è un ordine, ma lei vuole solo riprendersi il suo cappello… Il soldato si porta la mano al fianco, la insegue, estrae la pistola, la raggiunge e le spara un colpo in testa. Lisetta guarda a bocca aperta, è accaduto tutto così in fretta! Un istante prima sentiva il caldo della sua mano, lei adesso è lì, immobile nel fango, lei, la signora dagli occhi scuri, la mamma per un viaggio. Lisetta infila la mano destra sotto il maglione, stringe la spilla e chiude gli occhi. La mano sinistra pende sul fianco ed è chiusa a pugno. Le piccole dita si allungano una ad una. Uno, due, tre…
La signora Lisa apre gli occhi e ride di quel che ha fatto nella solitudine della soffitta. Ha tolto la spilla dal cofanetto, l’ha stretta forte e poi ha chiuso gli occhi. Ride, ma ha funzionato, anche se la spilla non l’ha portata al mare ma ai ricordi di una bambina. Una bambina che, con quella spilla in mano, ha saputo chiudere gli occhi mille volte davanti alle cose che l’uomo non dovrebbe mai fare. In quei ricordi, però, c’è qualcosa di strano, qualcosa che… ecco, manca il colore! Anzi no, uno c’è. La signora Lisa ormai l’ha capito da tempo, certi ricordi hanno in sé qualcosa di falso, qualche piccola bugia che ti lascia un poco di speranza. Specialmente i ricordi di un viaggio, un viaggio nella nebbia. Da un viaggio così, nessuno torna uguale a com’era partito. Se torna.