Il Sandro e Dario non camminavano seriamente dai tempi del liceo, dal lontano 1981, quando il terribile prof di ginnastica li obbligava a correre e loro svicolavano appena l’aguzzino girava l’occhio, prendendo a passeggiare. Il cammino dell’esistenza e un giro di vento propizio li aveva sospinti avanti senza scossoni fino alla soglia dei cinquanta ed ora se ne stavano là, nel mezzo cammin di loro vita, senza infamia e senza lode. Erano grandi amici, ma chi lo aveva più il tempo per condividere birre e discussioni sui massimi sistemi? Uno architetto, l’altro informatico, entrambi con famiglia a carico… sì certo, lavoravano anche le mogli, ma il tempo per coronare le loro aspirazioni da eterni Peter Pan appariva sempre più esiguo. Il logorio della vita moderna li aveva confinati in una logica serrata di casa e lavoro, pertanto il più balzano dei due una sera di primavera si era pronunciato: “Cavolo, Dario, qui bisogna fare qualcosa. Tra pochi mesi compiamo cinquant’anni e doppiamo la boa con un pugno di mosche in mano. Cosa abbiamo combinato finora? Due onesti lavori, una bella famiglia, certo, non è poco… ma i nostri proclami del liceo? Faremo… diremo… ecc.”
“Vero, Sandrì… anche la laurea, alla fine, non ha spianato la strada, per dirla col Petrarca… ci hanno fottuto!”
“Vero Dario, siamo schiavi di noi stessi, oltre al sistema. È per questo che dobbiamo partire…”
“E per dove… se è lecito?”… “Riprendiamo il discorso da dove l’abbiamo interrotto: camminando! Si va in pellegrinaggio sulla Via Francigena, il tratto lungo la nostra amata Toscana, quest’estate… riusciremo a ritagliare almeno una settimana per buona condotta dall’esistenza, no?”
I due distinti (?) signori di mezza età lasciarono l’auto a Firenze alla metà di luglio sotto un sole infuocato. Sandro fischiettava un motivetto famoso quando erano giovani, l’incipit faceva: “Partirono in due ed erano abbastanza”, di Antonello Venditti. In spalla uno zaino colorato a testa, troppo pesante. Uno col cappello da esploratore, l’altro con bermuda da golf a scacchi, si notava al volo che non erano pellegrini professionisti. Iniziarono a camminare dal borgo medievale di San Miniato. I crinali dei colli disegnavano da subito la Toscana più bella e immaginata. Strade bianche serpeggianti bordate di cipressi, campi di girasoli da cartolina, distese di frumento, biondo come i pargoli anglosassoni che popolano quei luoghi. “A Sandrì, certo la prima tirata è bella tosta… ce la faremo prima di notte?”… “Tranquillo, Da’: è ‘na cazzata…”
Infatti… giunsero a notte fonda a Gambassi Terme, al buio e distrutti. Un paio di grosse birre li riconciliarono col mondo e con quel Dio che non sapevano se stessero cercando in pellegrinaggio.
“Ma tu, Da’, ci credi più nella Chiesa o in qualche altra entità? È da un pezzo che non troviamo tempo e dimensione per parlare di queste cose…” … “A Sandrì, secondo me, per il livello diciamo “locale” e per gli umani, uno moderno e buono come Gesù può essere un ottimo modello, ma per il resto lo sai… scientifico come sono, pensare alla nascita dell’universo, galassie, tempo… ad opera di uno come noi, sinceramente…”
Il giorno dopo, giunsero nella splendida San Gimignano, ospitati proprio all’interno di una delle sue celeberrime torri riattata a bed & breakfast dalla proprietaria, un’intraprendente vecchina. Al ristorante, dove scolarono generose dosi di Vernaccia fredda gelata, vi fu un incontro curioso.
“A Da’… sentito ‘sti bergamaschi, che spirito? … comprare all’asta un casale distrutto, con vigneto tutto da rifare, per cambiare vita, che coraggio! Dalle brume lombarde al sole del centro Italia, però, non male…”
“Sì vabbè… dicevamo anche noi: metter su un wine-bar in Toscana, ma pure un pub a Londra, o anche…”
“Comunque, coomunque, al tempo, avevamo almeno il coraggio di sognare…”
Il giorno dopo, tra campi di zolle rosse, uliveti argentati e manieri solitari si marciava per Monteriggioni, perla urbanistica medievale cantata nella Divina Commedia: “… però che come sulla cerchia tonda Monteriggion di torri si corona…”. Nella vasta pianura rigogliosa che circonda il borgo, lungo la strada, sostarono nel delizioso complesso di Abbadia a Isola, antico hospitale per pellegrini. Cercarono alloggio e sull’uscio dell’ostello comparve Marco di Gorizia, pellegrino barbuto e canuto di lungo corso, in tenuta ginnica.
“Ah, dunque voi, ragazzi, non avete la credenziale, eh? Beh… allora non posso proprio ospitarvi… Sono cose che si possono fare anche in breve… io, ad esempio, prendo un paio d’ore a persona per una revisione spirituale completa con rilascio della credenziale, che dà diritto a un sacco di agevolazioni, come l’alloggio…”
“Lei ha ragione, signor Marco… ma noi nella vita siamo arrivati in ritardo su tutto… abbiamo quasi cinquant’anni e siamo un po’ frastornati… se non smarriti. Figurarsi se sapevamo della credenziale…”
Alle spalle sopraggiunse la moglie, col suo buon senso femminile: “Beh, allora… si fermano per cena?”
“No no, Maria… non si fermano… figurati, non hanno nemmeno la credenziale…”
Salutarono riconoscenti, dichiarando che avrebbero provveduto in fretta a una completa revisione di vita presso quella monaca specializzata da lui consigliata. Ripiegarono su un prestigioso hotel di charme nel cuore della cerchia turrita di Monteriggion, che come credenziale richiedeva unicamente una targhetta di plastica con la scritta VISA. Nel corso della cena sovvennero altre questioni: “Che meraviglia i pici all’aglione! … senti, Sandrì, un quesito: tu le donne... le hai mai capite?”… “Chi, io? Io no… certo che no!”
Il giorno dopo tappa faticosa, ma il premio fu nientemeno che: Siena, che bello! Il solo nome sul cartello stradale e varcare l’antica porta nord fu un’emozione immensa, che stupore giungervi a piedi, come facevano i pellegrini da oltre un millennio. Saranno luoghi comuni, ma il Duomo, Piazza del Campo e i contradaioli che sfilavano rullando i tamburi e sbandierando rimanevano episodi da brivido. Al “barre”, dove divorarono diversi panini ripieni d’insaccati e sott’oli, un altro incontro singolare: “Ragazzi, che caso… allora siete delle mie parti: io Bergamo, voi Brescia… siamo lì!”
“Grazie per il RAGAZZI, Cinzia… maa, senti un po’, che ci fai tu, qui?”
“Sarebbe una storia lunga, ma neanche tanto… avevo un lavoro incerto, sapete… la laurea in lettere mi è servita a poco, un amore andato così… e poi mi sono accorta d’essere innamorata di questa terra, dei suoi paesaggi, dei suoi borghi e della sua cultura. Ed ora… cerco di fare bene i panini come facevo la bibliotecaria… vi assicuro che mi sento felice. Forse a un certo punto dell’esistenza bisogna cambiare per evolvere … e andare… vuole dire cambiare, per forza!”… “Brava Cinzia! Sei stata coraggiosa!”
Il giorno dopo lasciarono Siena diretti a Buonconvento, altro delizioso borgo fortificato di pianura. Iniziava la splendida Val d’Orcia, zona delle crete senesi. Altri colori: l’intera gamma dei bruciati, dal grigio rosso cupo, l’immancabile biondo del grano, il verde intenso dei vigneti, che regalano il celebre Brunello di Montalcino. A Ponte d’Arbia, presso un bar anonimo reso sincero dai vecchi che vociavano ai tavoli e dal frinire assordante delle cicale, furono abbordati da un orientale che chiedeva informazioni in inglese. Era coreano e spiegò che il suo nome aveva a che fare con le nuvole, ma non scure da temporale, nuvole di bambagia, bianche e soffici come quelle che solcavano il cielo in quell’istante. Partito da Roma sarebbe voluto arrivare a Santiago de Compostela attraverso il “camino”. Tempo stimato? Boh! Realizzarono che non aveva grande idea su ciò a cui andava incontro, sapeva a stento che in Italia vi fossero grandi vini, cosa fosse Siena, cos’era un palio e così via… A “Nuvola buona” interessava solo camminare, vedere il mondo e conoscere il prossimo. Pareva addirittura ignorare i confini nazionali, oltre alle etichette dei vini, convenzioni e schiavitù degli uomini. Il suo sorriso gioviale lasciò un buon ricordo e parecchi interrogativi nei due quasi cinquantenni in cammino. “Boh, certo che lasciare tutto e starsene a spasso dei mesi, non saprei... Sembrava sulla quarantina, non avrà avuto famiglia… un lavoro? Però era tranquillo, pareva felice, vero?”
“Eh Sandrì, siamo messi peggio noi quanto a serenità e libertà. Ma sai, gli orientali sembrano sempre felici...”
Tra i vicoli degli edifici in mattoni rossi di Buonconvento, nell’ennesimo bar, incapparono in un altro soggetto originale di nome Andrea, titolare del medesimo esercizio. D’origine napoletana, apolide nell’animo, innamorato anch’egli di quella strana terra che è la Toscana. Guarda caso a diciott’anni aveva intrapreso il Camino di Santiago a seguito di un dramma della vita quale la perdita del padre. Ora si era fermato e aveva messo su attività e famiglia: bar, moglie e tre figlioletti. Anch’egli pareva entusiasta della scelta di vita. Rivelò che in quell’angolo incantato di mondo, tra colline, borghi e casali, si rifugiava un sacco di gente stanca del vivere faticoso altrove: avvocati americani, industriali tedeschi, ex spie inglesi e quelli normali, come lui. A malincuore il giorno seguente era prevista l’ultima tappa, con arrivo a San Quirico d’Orcia. Dopo l’ennesima sgambata sui crinali più suggestivi della regione, dove gli scorci di paesaggio appaiono talmente straordinari da risultare Patrimonio dell’Umanità, approdarono alla consueta porta nord. In quel mentre sopraggiungeva un corteo funebre, col prete in testa ad intonare litanie seguito dal feretro. I due pellegrini coi loro zaini dai colori troppo squillanti cedettero mesti il passo. Si guardarono in silenzio, il monito del “memento mori” era fin troppo evidente. Per loro era giunta la fine di una breve parentesi di libertà, per il poveretto la fine dei giorni terreni. “Vabbè Sandrì, è stato un bel viaggio, se non abbiamo trovato altro, due amici hanno avuto il regalo migliore: un po’ di tempo insieme, nei loro luoghi preferiti. Stasera festeggiamo con un finale coi fiocchi al miglior ristorante del borgo: “L’antico forno”, pago io! Domani si prende il treno e si torna alla base.”
“Sante parole pelegrino Dario, amico meo! Visto il segno funesto del funerale poi... sicuramente non ci possiamo lamentare della nostra condizione. Oh… hai notato la casa all’inizio del paese, quella con l’antica scritta San Quirico… è in vendita… al pianterreno verrebbe un locale stupendo…”
“Sì, vabbè Sandrì, siamo alle solite… continua a sognare, io vado a prepararmi per… l’ultima cena…”
Some time after (qualche tempo dopo)
Il giorno 6 di dicembre dell’anno 2016, avanti a me, Ruleo Antinori, notaio in Montalcino – Provincia di Siena, sono presenti i signori: Sandro G. nato a… e Dario P. nato a... i quali ACQUISTANO… porzione di edificio storico posto in Comune di San Quirico d’Orcia (SI), … con locali commerciali al pianterreno di mq 85…
“A Da’, avremo fatto bene a fare ‘sta cazzata? Ah, mi chiedevo pure… ma tu li sai fare i cocktails?”
“No, ma checcefrega a noi! Tolto i casi che hanno a che fare con la salute e altre miserie, stiamo facendo una delle scelte più coraggiose del giorno d’oggi: lasciare il posto fisso per cambiare vita… ti rendi conto?”
“Sì, a un certo punto è necessario cambiare per evolvere, come diceva la saggia ristoratrice letterata. La cosa più difficile è stata convincere le famiglie a trasferirsi… Che poi, quante famiglie al mondo si spostano per necessità di lavoro… noi, in fondo, lo facciamo per un ideale di vita… per coronare un sogno!”
“Vero Dà… sai che mi pare una scelta così coraggiosa che farei fatica persino a descriverla in un racconto?”
“Eh, hai ragione, in effetti anche eroi che hanno sconfitto eserciti e lottato contro chiunque, come Ulisse, o esploratori come Cristoforo Colombo… avrei voluto vederli mollare il posto in banca…”