Anno 1993, è la mia prima estate a Borno, ho marito e due figli: una scalpitante ragazzina di quattordici anni ed un piccolo terremoto di sei.
Federica, la grande, vuole partecipare alla fiaccolata, tutti ne parlano come dell'evento più spettacolare della stagione bornese e lei non intende rinunciare.
Intorno alla ragazzina, da un po' di tempo, come si dice da noi, "ronzano i mosconi" e il papà, come tutti i padri del mondo, è un po' stizzito.
"Che sia gelosia?". Per cui decreta: "Da sola non ci vai, ti accompagneremo io o tua madre".
Dopo proteste, strilli, pianti la scelta ricade su di me, in fondo una camminata mi farà bene, snellisce... rassoda... e, seppure di malavoglia, mi iscrivo insieme a lei per assumere il mio ruolo di bodyguard.
La mia vita di sedentaria mi consente una salita da bradipo, con continue soste, ma grazie agli incoraggiamenti di mia figlia corono con successo l'impresa: arrivo in vetta.
Al rifugio San Fermo ci mescoliamo ad una folla vociante, allegra, di ogni età: mi sento euforica.
All'improvviso il cielo diventa di pece, lampi di luce rischiarano qualche nube sfilacciata e una pioggia sferzante ci flagella.
Sotto un riparo di fortuna, investite da un odore di fradicio, di frasche, di erbe schiacciate, attendiamo che il temporale finisca e intanto fraternizziamo con chi ci sta vicino.
Torna il sereno e dopo qualche ora, nel cielo color inchiostro, fa capolino la luna: ma non è sola a rischiarare la notte, un numero infinito di stelle e rossi falò, accesi sui pendii, la soccorrono nel suo ruolo.
"La luna e i falò" di C. Pavese non è l'unico riferimento letterario che affiora alla mia mente, altri versi di poesie, che credevo dimenticate, si affacciano in questa atmosfera magica di luci ed ombre.
Accendiamo le torce: un torrente luminoso irraggia i volti eccitati dei partecipanti, che solerti organizzatori dirottano sull'alta o sulla bassa via, a seconda della loro preparazione atletica e... due lame di fuoco avanzano lentamente, tagliando i fianchi scuri della montagna.
Il sentiero che percorriamo è illuminato a giorno, le persone cantano, ridono, si divertono.
Federica ha fatto amicizia, è raggiante e io mi sento tornare ragazza e dimentico il mio ruolo da carabiniere.
Arriviamo al lago di Lova: sono davvero sfinita e gusto con avidità la fetta d'anguria che mi viene offerta. Proseguiamo il cammino, la stanchezza mi avvince, ma la luce che mi circonda mi dà la forza di continuare.
La gente, lungo le strade comincia ad affluire e ci applaude... poi un rullare di tamburi: è la banda che ci viene incontro riservandoci un'accoglienza trionfale, neanche fossimo scesi dal K2.
Ultimi metri della via San Fermo e si dischiude uno scenario sorprendente: la piazza, inondata di luce, è gremita da una folla festante e un gigantesco falò davanti alla facciata della chiesa si spalanca nel buio come un ciclopico occhio.
Avanzo ormai per inerzia e mi ritrovo sul sagrato a gettare l'ultimo mozzicone di torcia come dentro a un fantasmagorico caleidoscopio.
E qui, tra quei lanci luminosi, fitti come una gragnuola di sassi, mi sento partecipe di una festa meravigliosa: la fantastica notte di luci di San Fermo.