Cara Esseemme,
quest’anno celebriamo vent'anni di viaggio insieme. Eppure, ancor oggi, stento ad abituarmi alla tua presenza. Ti sei appiccicata alla mia vita come un bagaglio ingombrante e greve e, lasciami dire, hai divorato con una voracità incredibile pezzi interi della mia gioventù. Non era certo questo il viaggio che avevo immaginato né il futuro che aspettavo.
Ero all'inizio del mio cammino, stavo ancora studiando, quando prepotentemente hai occupato la mia strada: la tua è stata un'invasione subdola, strisciante. Da anni mi osservavi, mi avvicinavi, mi mettevi alla prova. Senza dare nell’occhio studiasti con determinazione tutte le mie soste, gli inciampi, le debolezze, le difficoltà di ragazzo timido e insicuro. Poi, il tuo irrompere violento mi tolse qualsiasi capacità di reazione, mi strappò via speranze, attese, sogni. Dovetti soccombere alla tua compagnia. Per sempre.
Mi stavo lasciando alle spalle l’università; di lì a pochi giorni una laurea in giurisprudenza sarebbe stata il primo gradino per una carriera di togato: il primo di una lunga serie, ne ero consapevole, ma la mia determinazione era granitica. Il mio viaggio sarebbe iniziato e terminato nella mia terra: sarei diventato magistrato nelle terre del sud, che a mala pena riuscivano a dare un significato alla parola “scegliere”. Volevo che la mia gente potesse discernere liberamente la sua strada, che si appropriasse di quel NO spesso negato. Era costretta a SÌ iniqui, umilianti, complici. Avrei rischiato la vita per seguire quei modelli di uomini che si immolarono per far nascere tra la gente la sete di una nuova coscienza civile. E invece neppure io ho scelto, cara Esseemme, sei stata tu a scegliere me e mi hai imposto le tue regole e i tuoi vincoli: il tuo itinerario era a binario morto, senza ritorno. Già il giorno della laurea, in quel mio incedere goffo e incerto, in quello sguardo che non riuscivo a tenere alto, in quel sospetto che traspariva dagli occhi di mia madre come in una confessione negata, eri padrona di me, mi stavi già manovrando come un burattino, stavi costruendo la strada del condannato per appropriarti di una vita clandestina nel mio spazio vitale. Le gambe spezzate in un futuro in frantumi.
Poi, lentamente ma inarrestabilmente, ho perso i contorni e mi sono confuso in te. Non più Antonio Russo, detto Totò, ma “soggetto affetto da Sclerosi Multipla, malattia incurabile di probabile origine autoimmunitaria che ha un inevitabile decorso invalidante, anche se con differenze individuali”. E come potevo più riconoscermi? Quel ragazzo promettente diplomato e laureato col massimo dei voti, timido ma ambizioso, diligente, preciso e attento, quel ragazzo che aveva un sogno e che credeva nella forza delle idee e degli ideali per cambiare il mondo, che voleva dire NO alla coercizione, al sopruso, alle vendette assassine, ai bavagli, alle minacce, che avrebbe sollevato il mondo per togliere la paura dallo sguardo dei bambini, l’angoscia dal cuore delle donne, l’omertà dalla bocca degli uomini, eccolo lì, piegato sulle ginocchia a dire SÌ a una dittatura del corpo. La condanna di un innocente, il silenzio di un Dio a lungo invocato. Ti sei sostituita a tutto ciò che di più caro avevo o avrei potuto avere: i miei interessi, gli amici, le vacanze, una donna da amare alla follia con la quale unirmi per generare futuro.
Come se tutto ciò non bastasse, mi hai pure preso in giro, Esseemme, mi hai fatto credere che, in fondo, se solo avessi voluto, il mio viaggio sarebbe stato quasi normale. Tutto sommato ero fortunato: una splendida famiglia che mi accompagnava con amore, delicatezza e caparbietà nel lungo e deprimente pellegrinaggio tra i guru della medicina, un titolo di studio che avrei comunque potuto arricchire percorrendo la via dell’avvocatura, un benessere economico che mi permetteva tutto ciò senza prosciugare irrimediabilmente i risparmi dei miei genitori. Ma tu sei subdola, Esseemme, tu sapevi che deviare il viaggio un giovane corpo in un binario morto avrebbe portato un altro male, il male di vivere, la tristezza dell’anima, la morte interiore. Tutto di me cadeva a pezzi, l’efferata invasione delle mie viscere non aveva solo imprigionato il corpo, rendendolo ubbidiente ai tuoi capricci, ma anche il pensiero, i sentimenti, la visione del mondo. Avevi messo sulla mia strada tre bestie spietate dalla presa mortale, Paura, Sfiducia, Disperazione. La Paura è sabbia mobile: ti risucchia sempre di più fino a che vivi costantemente nella paura di avere paura e non hai più pace. La Sfiducia, come malefica Sfinge, pietrifica e immobilizza. È specchio che non riflette, luce spenta, sale insipido; è annullamento di sé, sospetto, pregiudizio. La Disperazione è crepaccio, precipizio, caduta nel vuoto, esplosione del presente; è cecità, annullamento, rifiuto. Credevo in Dio e nell’uomo in quanto sua immagine; volevo portare il mio contributo al Suo sogno di libertà, volevo collaborare al Suo regno di giustizia. Volevo dare respiro alla mia terra, volevo che il mio popolo alzasse gli occhi e guardasse oltre i confini della sopravvivenza per credere e camminare verso una promessa. Ero il più convinto tra i miei amici, il più sensibile alla silente richiesta d’aiuto di tanti ai margini della strada, il più abile nell’ascolto sussurrato dei loro desideri. Ora anche l’amicizia ha indossato il pesante mantello della pietà che, come fitta coltre di nebbia, disorienta e disperde i miei sogni in un futuro senza luce. Come mi vuoi ridurre, Esseemme, quanto ancora durerà questo mio viaggio senza speranza?
Caro Totò,
ricordo quando, a tredici anni, rapito dalla stanchezza e da una tristezza senza origini, ti inginocchiasti esausto nella chiesa di San Nicola, quasi emulando il dipinto del Santo. Un messale aperto attirò immediatamente l’attenzione dei tuoi occhi curiosi e avidi di parole. L’orecchio dell’anima si lasciò rapire dalla musica bisbigliata deI salmo 1: “Beato l'uomo che dei perversi non batte le vie/ né dei maldicenti i ritrovi frequenta/ né siede nelle assemblee degli empi. (...) Egli sarà come un albero alto piantato sulle rive del fiume, che il frutto matura ad ogni stagione e foglie non vede avvizzite: a compimento egli porta ogni cosa.”[1] Ecco il tuo progetto: avresti partecipato in prima persona all’opera di giustizia di Dio, saresti stato un suo fedele collaboratore. Avresti superato le paure, le insicurezze, gli ostacoli, avresti percorso la via del giusto per portare frutti di giustizia, la tua famiglia sarebbe stata orgogliosa di te e la tristezza non ti avrebbe più eroso l’anima.
Non sospettavi minimamente la mia presenza; io ero già lì, in te; anzi, io ero te e tu eri già anche me. Mi sarei solo manifestata più tardi sulla tua strada, al tempo opportuno. Non sono un drago, non una bestia crudele, ma uno stato, una condizione dell’essere che vede me e te inscindibilmente insieme. Tu non sei altro, tu sei-con-me. Noi siamo Totò Russo. Il nostro cammino non può che essere insieme; se mi neghi, se non mi accetti, rifiuti anche te stesso, in quello che il futuro ci ha riservato, a me e te, a questo noi che è prima persona singolare perché anche nella nostra condizione è possibile avere la libertà di essere per diventare e camminare in questa direzione. Il Signore ci precederà: di giorno, sarà una colonna di nuvola per guidare il nostro cammino; di notte, una colonna di fuoco per illuminarlo[2]. Non ci è dato conoscere il mistero del male, le ragioni del soffrire. Forse fanno parte di un respiro della natura, nel suo tempo che non ha misura nel nostro e per questo sfugge alle nostre ragioni. Il dolore è mistero ma il tuo male, Totò, è anche il Suo perché ogni padre soffre del male del figlio, ogni padre vorrebbe portarselo su di sé, vorrebbe liberare dall’angoscia, vorrebbe caricarsi della croce e su di essa caricare tutto il male del mondo. Verrà il tempo. Oggi, in questo tempo presente, il tuo rifiuto di essere-con-me ti costringe giorno per giorno a una lotta sfiancante che ti logora nel profondo e ti immobilizza: il tuo cammino è segnato dalla paura, dalla sfiducia, dalla disperazione. Hai perduto la meta, hai disperso un sogno. Ma quel sogno è ancora possibile, se solo riesci a guardarti dal punto di vista di un tu-con-me che ribalta le relazioni con te stesso, che ti fa essere albero che il frutto matura ad ogni stagione perchè testimone per sè e per gli altri un sogno di giustizia e di speranza.
Buon viaggio, Totò, lascia il tempo perduto e va' alla ricerca del tempo nuovo.
Ti ritroverai. Tua Esseemme
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[1] Dal salmo 1, versetti 1 e 3 -Traduz. David Maria Turoldo
[2] Dal libro dell'Esodo, cap. 13 versetto 21