Camilla odiava terribilmente i pranzi domenicali in famiglia. Era costretta ad indossare pomposi vestitini pieni di pizzi e fiocchetti che la facevano assomigliare più ad una bomboniera che ad una bambina in carne e ossa. La mamma le faceva anche lo chignon o le treccine e doveva stare attenta a non spettinarsi, a mangiare bene e a stare seduta composta a tavola. I pranzi duravano delle ore ed erano sempre tutti uguali. Ci si sedeva, si lodava la qualità della cuoca di turno che aveva preparato quel bendidio, gli uomini iniziavano a parlare di politica e le donne di pettegolezzi vari.
Zia Paola la sommergeva di domande e sbaciucchiandola di continuo le sporcava la faccia con il suo rossetto rosso. Poi si beveva il caffè e i nonni giocavano a carte con le donne, mentre gli uomini si spostavano per fumare in tranquillità. Camilla essendo l'unica bambina della famiglia doveva ingegnarsi per far passare il tempo il più velocemente possibile sotto l'occhio vigile della mamma pronta a sgridarla non appena avesse tentato di sfilarsi la ballerina per far riposare il piedino indolenzito. A cinque anni perciò aveva inventato un gioco, tutto suo, che amava chiamare il cibo-persone. E nonostante oramai fosse quasi una dodicenne e avesse il permesso di non indossare più i vestitini da bomboniera durante questi lunghi pranzi lei cercava di immaginarsi i vari familiari come dei cibi.
La mamma per esempio era un asparago. Sì, un lungo e stretto asparago verde. Cristina era infatti magra, slanciata e i suoi capelli se non pettinati con estrema cura sparavano alti sulla sua testa. Per questo non poteva essere nient'altro che un bell'asparago, cibo che Camilla non amava molto, eccezione per sua mamma naturalmente.
Suo papà era un bel cervo in salmì. Spiritoso, allegro e divertente era uno di quegli uomini che riservano sempre alcune sorprese, pieno di brio proprio come il sapore di vino rosso che ti colpisce non appena assaggi il cervo. E poi c'erano quei grossi baffoni. Non erano né neri né marroni, ma di un rossastro molto scuro: erano di colore salmì.
La zia paterna Sabrina aveva i capelli tinti di un biondo così forte che il contrasto con il suo estremo pallore la facevano assomigliare ad un uovo all'occhio di bue. Suo marito Umberto era un uomo un po' piccino, silenzioso, timido, passava inosservato specialmente se confrontato all'esuberante moglie. Per Camilla era un po' come l'insalata: triste, mogio e noioso.
Il figlio dell'uovo e dell'insalata, …ehm…, scusate di zia Sabrina e zio Umberto, Giacomo era una grossa bistecca di manzo. Saccente e vanitoso parlava solo dei suoi muscoli e delle ore che passava in palestra. Camilla lo detestava sebbene fosse suo cugino e lei amasse la carne specialmente quella rossa.
Giacomo a volte portava la sua fidanzata ai pranzi. Si chiamava Alice ed era veramente simpatica per stare con uno così noioso ed egocentrico. Non era altissima, magra, bionda e sempre allegra. Scherzava di continuo e un po' tutti (tranne zia Paola ovviamente) avevano preso a volerle molto bene. Camilla addirittura la adorava e proprio a lei era associato il suo cibo preferito. Era una patata lessa, cosa che detta così può sembrare quasi un'offesa. Dobbiamo perciò specificare che Camilla andava pazza per le patate lesse che nonno Cristiano coltivava nel piccolo orto vicino a casa. Le condiva con l'olio che per nessun motivo doveva essere extra vergine e con un po' di sale, poi iniziava a mangiarle. Avrebbe potuto cibarsi solamente di quelle talmente le piacevano.
Zia Sabrina aveva anche un gatto che a volte portava con sé. Si chiamava Nanna e nomen omen dormiva tutto il giorno. Era obeso e assomigliava terribilmente a una grossa ciambella zuccherosa.
L'altra sorella del papà era zia Paola. Ogni famiglia che si rispetti ha bisogno di una triste e solitaria zia zitella che tenta di sfogare le sue delusioni sentimentali sulle persone intorno a lei. E il suo bersaglio preferito ovviamente era Camilla. - Ma come sei cresciuta! E il fidanzatino ce l'hai? La scuola? Tutto bene? Mi raccomando lo studio è importante… - questi erano i suoi tipici e unici argomenti di discussione quando non si occupava a lanciare frecciatine agli altri convitati. Acida come era poteva essere solamente un triste e solitario limone.
L'unica persona che zia Paola non trattava mai sgarbatamente era sua mamma, nonna Gertrude. Soffrendo di frequenti vampate di calore che la facevano diventare tutta rossa ogni cinque minuti e non essendo particolarmente in splendida forma fisica Camilla l'aveva associata a un grosso, tondo pomodoro maturo. Amava parlare e nei suoi racconti ricordava sempre con tristezza il defunto amato. Infatti suo marito, nonno Riccardo, era morto anni prima, quando ancora i suoi figli erano piccoli. Dai vari frammenti dei racconti della nonna e del papà Camilla s'era immaginata il nonno come un omone burbero, ma dal grande cuore. In pratica una bruschetta, dura all'esterno e morbida dentro. Inoltre il nonno e la nonna a quanto pare si amavano tantissimo. E che connubio c'è migliore della bruschetta con il pomodoro?
La nonna materna Gemma invece era una vecchietta sprint. Passava le sue giornate tra lezioni di zumba, estetiste varie e partite di poker con le amiche. Aveva un linguaggio abbastanza colorito ed era molto vivace. Per Camilla era una pasta allo scoglio bella piccante e piena di colori proprio come i gioielli che amava indossare.
Il nonno Cristiano agli occhi della nipotina sembrava un petto di pollo. Un po' succube della moglie, era però molto dolce, delicato e gentile. Purtroppo aveva un difetto terribile: quando iniziava a parlare della sua infanzia e adolescenza non c'era modo di fermarlo. E diventava perciò un po' noiosetto, proprio come il petto in un pollo allo spiedo che rispetto alla parte croccante e saporita della pelle appare un po' anonimo.
Poi c'era la sorella del nonno Beatrice, che Camilla chiamava zia Bi, ed era sempre la prima ad arrivare e l'ultima ad andarsene accompagnata dal fedele figlio Gianni, un mammone di quarantacinque anni che ancora non era riuscito ad abbandonare il tetto materno. Erano veramente una strana coppia. Lui alto e magro, lei bassa e tondeggiante, da una parte un importante avvocato della città serio e distinto sempre in smoking, dall'altra un'anziana pensionata amante dei colori e sempre allegra. Per Camilla erano un po' una torta pere e cioccolato. Due cibi che all'apparenza nulla hanno in comune ma che insieme stanno veramente bene.
A volte quando il pranzo si teneva a casa di nonna Gemma e nonno Cristiano si invitava anche zia Giacomina, che Camilla chiamava zia anche se non aveva ben capito il suo grado di parentela. Doveva essere una lontana cugina della nonna ed era una donnina magra e silenziosa. Con lei Camilla aveva fatto molta fatica per capire che cibo era. Alla fine si era decisa: era lo zafferano sicuramente. Parlava infatti poco, ma quando lo faceva tutti la ascoltavano senza batter ciglio. Sapeva raccontare benissimo le storie, specialmente quelle di quando era piccola e con nonna Gemma ne combinavano di tutti i colori. Come non serve mettere tanto zafferano nel riso che esso lo colora e lo insaporisce ugualmente rendendolo più appetitoso, così anche solo poche parole di zia Giacomina riuscivano a rallegrare la giornata.
Ora giungeva il problema più grande: chi era Camilla? Tutti noi probabilmente ci saremmo scelti uno dei cibi che più amiamo. Invece Camilla no. Aveva scelto il cibo che più odiava e che non ricordava nemmeno di aver mai mangiato. Il suo solo odore le dava la nausea e faceva perfino fatica a guardare. E perché aveva scelto proprio quello? Camilla credeva che finché non fosse cresciuta totalmente non avrebbe potuto capire veramente chi era. E perciò preferiva essere quel sapore che ancora non aveva assaggiato, quello che ancora non sapeva come era. Camilla era una grossa fetta di formaggio.