"Un bambi!" esclamò sottovoce. "Un bambi!" ripetè al colmo dello stupore. L'artefice della scoperta si chiamava Andrea, bambino di otto anni, d'indole curiosa e incline all'esercizio della più libera e sfrenata fantasia. Talentoso di natura, fra le molte doti di cui era in possesso, vantava un'insolita abilità nel produrre smorfie di pregevolissima fattura. Due in particolare, autentici capolavori nell'arte dello storcere, deformare e arricciare il volto, gli avevano procurato successo e fama presso i compagni: quella spiritosissima del "gorilla imbranato", accolta da un putiferio di battimani, risate e fischi; e quella patetica fino alle lacrime del "leone innamorato e tradito", impreziosita da un paio di ruggiti così ben fatti, da scatenare gran terrore nel pubblico. Né possiamo sottacere l'altra spiccatissima passione di Andrea, il pallone, gioco nel quale eccelleva per le doti di palleggiatore: suo il primato di cento, dico cento!, palleggi consecutivi, record che l'aveva prontamente issato in vetta alla classifica dei più amati dalle femminucce.
Era senza dubbio il muso di un cerbiatto, quello che spuntava dalla ramaglia del bosco. Il "bosco dei cornuti", come l'aveva pittorescamente battezzato qualche ironico bontempone, ispirato da un boccalone di vino. A scanso di antipatici equivoci, fin troppo facili a svilupparsi in simili casi, ribadisco la natura del tutto innocente dell'appellativo, a non altro attribuibile se non alla presenza in loco di alcune famiglie di cervi. E non, come certe malalingue hanno inteso far credere, per l'assiduo svolgersi di scostumati e disonorevoli convegni. Il successo del singolare appellativo comunque fu tale, da imporsi a furor di popolo obliando per sempre il nome d'origine. Che infatti non ricordo. Andrea dunque, senza farne parola coi compagni, approntò un ingegnoso piano d'azione, che prevedeva di raggiungere un punto del bosco dal quale poter osservare con più agio l'ungolato ospite. A occhio nudo stabilì il punto ideale, a spanne calcolò il tempo per arrivarci, a grandi linee il percorso da effettuare. Calcoli che si dimostrarono di un'esattezza impressionante, tant'è che impiegò solo il doppio del tempo che sarebbe occorso, mancò il bersaglio del triplo della distanza presunta, e sbagliò percorso non più di quattro volte. Errori tutto sommato veniali, considerate le difficoltà che la missione comportava. Alla fine del tormentato periplo, Andrea si trovò in uno stato di così singolare eccitazione, che se non fosse stato da sempre astemio, e di ciò garantisco personalmente, la si sarebbe scambiata per la tipica ebbrezza conseguente a una colossale sbronza. In tutto il tempo in cui Andrea, pur tra mille intoppi e accidenti, s'era prodigato a raggiungere il nuovo punto di osservazione, l'animale si mantenne in uno stato di catatonica immobilità, tale da far schiattare d'invidia omologhi esemplari esposti nei musei di storia naturale, o in ville di facoltosi collezionisti.
"Che bravo che mi hai aspettato! Sei proprio un bambi in gamba, neh!" si compiacque Andrea.
Dalla nuova postazione, l'animale era visibile in tutto il suo aggraziato splendore.
Corpo esile e slanciato, occhioni dolci e prominenti come nelle rane, collo flessuoso, lombi sodi, zampe elastiche e nervosette. Il mantello, un prato fulvo spruzzato di fiocchi di neve. Un batuffolo lanoso per codino.
"Sembra il piumino da cipria che usa la mamma!" fu la geniale similitudine partorita dal fervore immaginativo di Andrea.
Con rara sagacia, egli intuì che l'animale si sarebbe al minimo rumore dato alla fuga, scomparendo nella boscaglia in modo che nemmeno il commissario Rex l'avrebbe più riacciuffato.
"Son bestiole furbe, furbe assai, ci mettono nel sacco quando vogliono! Il bosco lo conoscono bene, è casa loro!" rifletteva Andrea con l'acume di un etologo. E rivolgendosi mentalmente all'animale, lo ammonì: "Aho, Bambi, non mi fare brutti scherzi! Che poi ci rimango male e divento nervosetto, neh!". Con puntiglio notarile, prese a elencarsi una ad una le auree regole del buon pedinamento: silenzio assoluto; massima circospezione; passi felpati; attenzione a ciò che si calpesta; opportuna distanza di sicurezza. Non soddisfatto, con lungimirante prudenza, a fronte di circostanze avverse, inserì altre regolette: mai starnutire; non scatarrare; non tossire; non emettere peti; trattenere il fiato, possibilmente non oltre la soglia di sopravvivenza; e perfino, in un eccesso di cautela, non rosicchiarsi le unghie. Per motivi indipendenti dal proprio desiderio, non se la sentì di includere nell'elenco l'arresto del cuore: troppo rischioso. "E se poi non riparte?!" fu l'angoscioso interrogativo che lo fece desistere.
Ponderava con filosofico giudizio su tali questioni, quando ne fu distolto da un'improvvisa urgenza: la pipì! "Accidenti, questa non ci voleva! Che iella! E ora che faccio?" si domandò perplesso. Nessuno che abbia dell'amore per la verità potrà negare che, per espletare certi bisognini, luogo migliore non c'è di un ameno boschetto. Ah, quante scabrose situazioni risolte, quanti imbarazzi scongiurati, quanti sospiri di sollievo esalati, in questi meravigliosi paradisi della privacy! Luoghi tranquilli e appartati, gelosi custodi delle nostre più pudiche e inviolabili intimità! Oh, cari boschetti, così dolci e materni, così discreti e accoglienti! Suvvia, ammettiamolo senza falsi pudori: vi son cose che in un bosco vengono meglio che altrove e dànno un sacco di soddisfazione in più. Grazie a loro certe funzioni, a torto considerate volgari, assurgono al rango di sublime piacere. Ma sì, riconosciamolo: farla lì, in mezzo al bosco, ha il pregio di un raffinatissimo sollazzo, un impagabile spasso.
A chi non è capitato almeno una volta di appartarsi per assolvere a ciò che urge assolvere, deliziosamente immerso nella pace aromatica di una pineta, di un querceto o di un faggeto, accompagnato dalla dolce orchestrina degli uccelletti? Non è forse un momento di intensa e gioiosa perfezione? Non ci fa sentire in bella e totale comunione con la natura e con noi stessi? Lo dico senza tema di smentita: farla in un bosco è bello! Un vero sballo! E qui mi fermo, altrimenti mi commuovo troppo…
Dopo lunga e sofferta riflessione, Andrea concluse che due erano i problemi da risolvere: il primo, come eliminare il gorgoglìo del getto; il secondo, strettamente legato al primo, come adempiere alla bisogna senza stare ritto in piedi - posizione che, accrescendo il rumore del getto sul terreno, avrebbe potuto farlo scoprire.
Per un attimo, ma solo per un attimo, invidiò le sue compagnucce. Dopo le perplessità iniziali però, stabilì che mai e poi mai avrebbe espletato il bisogno accovacciandosi alla maniera delle femminucce.
"Mai!" giurò risolutamente a se stesso. E siccome il bisognino da innocua seccatura s'era ben presto trasformato in tormentoso assillo, decise di porvi rimedio ricorrendo a un espediente tanto drastico quanto efficace: postasi una mano sulla patta dei jeans, se la strizzò con tutte le forze. Manovra che gli procurò un innegabile dolore, peraltro sopportato magnificamente in quanto esercizio sovente praticato, a scuola, in chiesa, per strada. "E se me la facessi addosso?! Avrei risolto ogni problema: niente getto, niente rumore! Waoh!" pensò in un impeto d'entusiasmo. Entusiasmo che nel giro di pochi secondi s'ammosciò a cocente delusione, perché non sarebbe stato agevole continuare l'inseguimento zavorrati da un paio di mutande fradice. "Peccato, era una così bella idea! Molto toga!" commentò deluso Andrea.
Nel frattempo che il nostro eroe, con innegabile lavorìo di pensiero, s'affannava a trovare il modo di risolvere il suo intimo problema, il cerbiatto, decidendo di rompere lo stato di catalessi nel quale s'era mantenuto fino a quel momento, arretrò d'un paio di passi, fece un rapido giro su se stesso e speditamente s'inoltrò nella boscaglia. Con risolutezza lo seguì anche quel volpone di Andrea, vestendo i panni non più solo teorici ma pratici del provetto investigatore. "Però, sei davvero un bel bambi!" ammise mentre ne osservava l'agile incedere sulle longilinee e magre zampette. Due o trecento passi dopo, il cerbiatto inopinatamente si fermò per uno spuntino d'erba medica. Dalla voracità con cui ne addentava i fibrosi steli, languidamente ruminandone ogni boccone, s'intuiva che ne era ghiotto. "Vedo che ti piace l'erbetta fresca, eh! Golosone!" fu il compiaciuto commento di Andrea.
A un tratto, un'ombra nell'ombra della macchia si mosse. Se il terrore ha un volto, era quello di Andrea in quel momento. "Chi è là?!" bisbigliò con un filo di voce appena. Smorto al punto da far sembrare un cadavere stagionato da anni come la personificazione della salute, Andrea indugiò aguzzando lo sguardo con sospetto, in attesa che succedesse qualcosa ma senza sapere cosa. L'ombra si mosse un'altra volta. E un'altra ancora. "Chi è là?!" gridò più forte Andrea. Lo divorava il dubbio che un qualche furfantello, chissà se per burlarsi di lui o invece animato da malevoli scopi, lo spiasse acquattato nella ramaglia... Un rumore di passi lo fece trasalire a un tratto: no, era solo un lieve stormir di fronde…
Un ramo oscillò come per un agguato: no, era solo un uccelletto spaventato… Un lampo guizzò fra le rocce, forse l'acciaio di una spada: no, era solo un raggetto di sole… Un puzzo acre gli salì alle narici, come un avviso mortale: no, era solo un mucchietto di letame… Infine, qualcosa di gli sfiorò la guancia, al pari di una carezza atroce: no, era solo un filo di ragnatela in balia del vento…
"In che strano posto son capitato! Mi tira scemo!" s'innervosì Andrea. In effetti c'era da uscir matti, in un luogo che faceva sembrare le cose ciò che in effetti non erano. "Che rebelot!" mugugnò adottando un'espressione del gergo locale.
L'atroce dubbio sull'identità dell'ombra si sciolse pochi istanti dopo, allorché venne allo scoperto rivelando la sua vera identità. Che suspance! Che batticuore! Che torcimenti di ventre! Tutto si svolse in pochi istanti, ma sembrarono un'eternità. Fu un miracolo se le viscere di Andrea, pur così fragili e inesperte delle cose del mondo, ressero all'urto di tanta emozione, evitandogli l'onta di un deplorevole cedimento. Si rassicuri il lettore, nessuna perdita, né malodorante straripamento, né qualsivoglia fuga di gas si verificò in quella penosissima circostanza. Andrea tenne duro fino in fondo, resistendo magnificamente alle "purgative" sollecitazioni della paura. Mutande e onore furono salvi! E meno male, perché all'ignominia di una sconcia esondazione, si sarebbe aggiunta anche la beffa di scoprire che il vero proprietario dell'ombra altri non era che l'inoffensivo cerbiatto.
"Ohe, bambi, sarai mica matto! Stacci attento, per poco non morivo di creapacuore!" fu la silenziosa protesta di Andrea. Ignaro d'essere seguito, il cerbiatto proseguì pacificamente a mulinar passi. E dietro a lui anche Andrea, che s'inoltrava in un mondo a lui del tutto ignoto e misterioso. Dal denso fogliame, che formava una cupola sulle loro teste, spioveva una parca distillazione di luce, appena sufficiente a rischiarare il sentiero.
Sgomitando, s'accalcava intorno a loro un'immensa folla di ombre, differenti per colore e forma: alcune segaligne e slanciate come campanili; altre panciute e goffe quali pingui matrone; certe soffici e cremose, spalmate sul terreno come la nutella sul pane; altre nere e coriacee, della consistenza del ferro; certe gli sorridevano amabilmente; altre lo squadravano dall'alto in basso, con irridente malanimo, svaligiandogli il cuore per sottrargli anche l'ultimo grammo di coraggio. "Coraggio!" si fece animo Andrea.
Cammina cammina, attraversò più di una radura, superò avvallamenti, si fece largo tra selvagge fioriture di felci, e, con sommo sprezzo del pericolo, guadò un acquitrino le cui esauste linfe, stagnanti e moribonde, gli arrivavano minacciosamente a sfiorar le caviglie. Alla maniera d'un novello Cristoforo Colombo, si avventurava ben oltre le colonne d'Ercole del suo mondo fino allora conosciuto. E tuttavia, più procedeva, più s'impossessava di lui un sottile quanto vago turbamento. Quale ne fosse l'origine, restava un impenetrabile mistero.
"Presagio di sventura!" battezzò quel mistero, ricordando l'analogo grido di un cavaliere, in un racconto di cappa e spada. Non gli era del tutto chiaro che cosa avesse inteso dire il cavaliere, ma l'esclamazione, lì, nel silenzio profondo del bosco, suonava in modo perfetto. "Presagio di sventura!" ripetè rabbrividendo tutto. A pronunciar certe parole con troppa enfasi e convinzione, si finisce per crederci veramente. E Andrea le proferì con tale trasporto, da sentirsi quasi svenire. Per fortuna, il sogno di emulare il prode cavaliere lo rianimò di colpo, infondendogli tanto coraggio quanto ne serviva a vincer quella e ogni altra paura sulla faccia della terra.
E di botto si trasformò in un avvenente e ardimentoso armigero, pronto a gettarsi anima e corpo nella mischia. "Io sono il "solitario cavaliere del bosco"!" urlò a un tratto, non già ai canonici quattro venti, ma, più modestamente, all'unica brezzolina che spirava in quel momento nel bosco. "Io sono il "solitario cavaliere del bosco"!" ripeté come per annunciarlo al mondo intero. Non è dato sapere se il mondo l'avesse inteso, ma certo il bosco sì, perché di colpo s'ammutolì. Un uccelletto schizzò fuori dal nido, chiedendosi il perché di tanta caciara. Uno scoiattolo se la svignò in tutta fretta, deciso a prendere armi e bagagli e andarsene dal bosco. Per amor di patria tacerò i frizzanti epiteti che un ragno tessitore gli spedì, per averlo disturbato nel mentre ordiva la sua tela. Da ultimo si tuffò nello stagno un vecchio rospo, persuaso che ormai il bosco non era più quello di una volta, che molti strani e maleducati animali lo frequantavano, e che sott'acqua le cose erano senz'altro più tranquille.
Era ai sette cieli, Andrea, invasato come i baldi cavalieri del buon tempo antico. Ah, se l'avessero visto i suoi compagnucci, lo avrebbero accolto come una star implorandolo: "Prego, signor cavaliere, un autografo!... A me un bacio!... Una fotografia, per favore!". E così vaneggiando, si diede a urlare altisonanti esclamazioni, lette in qualche racconto d'avventura: "Per le corna di Belzebu'!... corpo di mille bombe!... corpo di cento bombarde!... t'infilzo come un tordo al mio spiedo!... ti sbudello vil marrano!... ti macello burin fellone!... a noi moschettieri! A noi!". Come suonavano bene, lì nel bosco, quelle garbate espressioni di umana fratellanza! Infervorato da sì nobili profferte d'amore, prese a vibrar fendenti a destra e a manca, non d'altro armato che di tanta buona volontà d'accoppar chiunque gli fosse capitato a tiro. Assestava colpi or qui e or là, ciecamente, finché, accortosi del grave pregiudizio che gli arrecava eseguir la mattanza a mani nude, e al contempo mosso dall'ambizione di incrementarne l'efficacia, in un lampo di genio raccattò da terra un grosso legno, più parente di randelli e mattarelli che non di spade e fioretti, e con quello si diede a battezzar con cristiano fervore ogni cosa gli capitasse a tiro: arbusti di biancospino, distese di felci, tronchi di faggi e castagni, cespi di agrifoglio e quant'altro v'era intorno. E sempre urlando: "Alè!... Tiè!... Beccati questo!... E quest'altro!... Ti squarto, neh!... Ti sventro, toh!".
Un tal frastuono non potè non allarmare il cerbiatto, che tuttavia, prima di lanciarsi in precipitosa fuga, se ne stette un bel po' a fissare la movimentata scena. Chiunque lo avesse visto in quel momento, avrebbe colto nell'espressione del suo dolce musetto i segni di un umanissimo disagio. Scuotendo il capo in silenzio, riprese il cammino e definitivamente si eclissò nella boscaglia… Esausto dopo tanto malmenare, squartare e scannare, Andrea piombò a giacere nell'erba, a ristorar le membra e ritemprar lo spirito. Se ne restò disteso per qualche minuto, fieramente beandosi dello scempio appena compiuto. Quindi si alzò e prese a scrutare intorno, affannosamente cercando il suo bambi. Dopo dieci minuti buoni, con fulminea intuizione, capì che se n'era andato per sempre. "Pazienza!" pensò avvilito.
Regnava una gran calma nel bosco, gli uccelletti non trillavano più, il vento batteva la fiacca o giaceva moribondo da qualche parte, e nessun din don dan di remote campane deliziava l'aria. Il silenzio era puro, intatto, senza confini. Un silenzio profondo e misterioso. "Chissà, forse è questo il vero mistero del bosco!" pensò a un tratto Andrea. E di colpo si sentì aggricciare i nervi di spavento. Cavaliere o non cavaliere, le ginocchia gli fecero giacomo giacomo e un freddo sudore gli imperlò la fronte come una corona di spine. E allora corse, corse a precipizio sul sentiero senza mai voltarsi indietro, corse fino ai margini del bosco e rallentò solo quando udì le voci dei bambini nel prato.
Era salvo.