Corro fuori dall’ufficio trafelata, per accorgermi troppo tardi che sta diluviando e io (ovviamente) ho lasciato l’ombrello nell’Audi. Raggiunta l’auto cerco la chiave, che (sempre ovviamente) non ho pensato di preparare mentre ero ancora all’asciutto. Sono già le 19, che disastro! Una riunione infinita, e per di più il capo mi ha incastrata per l’incontro con il direttore sabato mattina! Quindi devo chiedere a Inés di tenere i bambini: vedo già il suo sguardo di disappunto per il poco preavviso... All’improvviso ho anche un flash del frigo vuoto, e la testa mi cade sul volante per lo sconforto. Ma è tardi, quindi finalmente accendo il motore, e insieme si accende anche la radio, che passa “Don’t stop me now”.
Mi illumino all’istante, e presa da una gioia incontenibile e del tutto inadeguata per una dirigente, alzo il volume al massimo e lascio il parcheggio a tutta velocità, cantando a squarciagola “I’m a racing car, passing by like Lady Godiva” ad un attonito custode.
La mente torna agli anni delle superiori, quando fuori ero un’adolescente, ma dentro ero già un’adulta: prima della classe, catechista, ambientalista... per tutti ero un modello da seguire, ma in alto su quel piedistallo mi sentivo sola, anche se allora non lo ammettevo, e gli sguardi che percepivo erano più di odio che di ammirazione.
Ma all’inizio della terza arrivò un ragazzo nuovo: era più grande, e aveva cambiato città molte volte. Il classico ripetente con una famiglia problematica, avevo subito pensato. E come portarlo sulla buona strada se non affidandolo a me? Quando mi comunicarono questo compito fui subito determinata a concluderlo con successo. Ero addirittura orgogliosa di questa responsabilità! Cercai immediatamente di fare conoscenza con lui:
“Come hai detto che ti chiami?”
“Alessandro, ma Alex è il mio nome d’arte. Sono un chitarrista”, e così dicendo mimò un assolo in aria, facendomi l’occhiolino.
Alzai gli occhi al cielo: il cliché dell’artista ribelle e pure piacione, ottimo! Ma il gesto non gli sfuggì e parve irritarlo molto, perciò mi affrettai a presentarmi: “Comunque, io sono Maria.”
“Ovvio, in che altro modo potevi chiamarti?”
“In che senso, scusa?”
“Sei una perfettina tutta casa e chiesa, il tipo di persona convinta di sapere tutto…”
Ma come si permetteva? Dovevo rimetterlo subito al suo posto: “Non so se so tutto, ma sicuramente so più cose di te, altrimenti non sarei qui a farti da baby sitter…”
Cercammo di incenerirci a vicenda con lo sguardo, finché la prof non ci richiamò all’ordine. La convivenza non era iniziata bene, ed era solo destinata a peggiorare. Ottenni che Alex rimanesse dopo la scuola per seguirlo nei compiti, impedendogli di provare con la band, così lui per vendetta bruciò uno dei miei quaderni di appunti. Mentre lui faceva il figo con le ragazze io lo trascinavo via per studiare; così lui per ripicca faceva la mia imitazione mentre ero interrogata, facendo sbellicare tutti. Alla fine, stremata da questa guerra, mi decisi ad affrontarlo:
“Perché mi ostacoli in continuazione?
Non vuoi essere promosso?”
“Non mi interessa la scuola: voglio essere un rocker, diventare una star!”
“E quale sarebbe il piano B? Cosa succede se non riesci a diventare una star?”
“Beh, ecco…” E poi silenzio.
“Senti, neanche a me piace storia o algebra, ma cerco sempre di dare il meglio in ciò che faccio. È questo che devi imparare davvero a scuola. Se ci riesci qui, che è piuttosto facile, ce la farai anche dopo, e potrai dedicarti a qualsiasi piano, A o B che sia.”
Alex ci pensò su per un po’. Quando era concentrato era proprio sexy, anche se sarei morta piuttosto di farglielo sapere.
“Ok, va bene. Facciamo a modo tuo” disse stringendomi la mano, “ma ad una condizione.”
Feci per ritrarre la mano, ma lui la trattenne. “E sarebbe?”
“Se sarò promosso passerai una giornata con me, e le regole le detterò io.”
Deglutii, pensando al peggio, ma ormai non potevo tirarmi indietro. E tanto ci impegnammo nello studio, che l’anno scolastico finì, e mentre io non stupii nessuno con la mia media del 10, Alex fu acclamato come un eroe per il suo 7 da tutta la classe.
“Ce l’hai fatta, congratulazioni!” esclamò felice Alex, sorridendomi.
“Ce l’abbiamo fatta, vorrai dire. Sei stato bravo”, gli risposi, sorridendo a mia volta.
Ne seguì un silenzio imbarazzato, in cui per la prima volta rimanemmo a corto di parole, finché Alex mi ricordò: “Domani passo a prenderti per la giornata che mi avevi promesso.”
Temevo quel giorno da tutto l’anno! L’indomani Alex arrivò sulla sua vecchia Panda, avvisandomi a suon di clacson. Salii intimidita e rimasi in silenzio, in attesa: ero imbarazzata di essere con lui al di fuori della scuola, tanto più con i suoi occhi addosso.
“Io so qual è il tuo problema: tu vivi in una gabbia di regole e responsabilità che ti sei costruita da sola. Oggi ti insegnerò io qualcosa: ti insegnerò ad essere me, e infrangeremo quelle regole! Faremo tutto ciò che non hai mai osato fare finora!”
Lo guardai sbalordita, sperando che scherzasse. Cosa aveva in mente?
“Tranquilla, inizieremo con qualcosa di facile. Questa” disse infilando il greatest hits dei Queen nel lettore cd “sarà la nostra colonna sonora, e il tuo primo compito sarà cantarla insieme a me. Con il finestrino abbassato! E soprattutto mentre saremo fermi ai semafori!”
Quando partirono le prime note della canzone, Alex intonò “Tonight, I’m gonna have myself a real good time, I feel ali-i-i-ve…” e quando il ritmò iniziò a incalzare, partì a tutta velocità. Mi misi a ridere per quanto fosse pazzo, e così mi lasciai trascinare. L’energia mi scorreva dentro, e mi sentivo davvero viva come diceva la canzone. Quando arrivammo ai cori a due voci “don’t stop me, don’t stop me” e “uh-uh-uh” ormai cantavo usando una bottiglietta d’acqua come microfono, e ovviamente la passavo ad Alex per la sua parte.
Quel giorno mi fece guidare su una strada deserta, incitandomi ad accelerare finché il volante non iniziò a vibrare. Poi sgattaiolammo in un cinema senza pagare, commentando a voce alta ogni battuta del film finché non ci cacciarono. Pranzammo in un fast food, dove non ero mai stata (non mangiavo di certo quelle porcherie), e ordinammo quattro menù diversi solo per assaggiare tutto. E ogni volta che tornavamo in auto ascoltavamo di nuovo “Don’t stop me now”: un po’ per darci la carica, e un po’ perché ormai era il nostro inno. Provai anche a fumare una sigaretta, ma tossii così forte che pensai di soffocare. Poi passammo ai veri classici, a cui non mi ero dedicata quando ne avevo l’età, e che allora ero già troppo cresciuta per fare: suonare il campanello agli sconosciuti per poi scappare, e fare scherzi telefonici ai professori. Alla fine scarseggiarono le idee, quindi ci dirigemmo nei campi: ormai eravamo sfiniti, perciò ci lasciammo cadere su un prato ad ammirare il sole che tramontava. Era il momento giusto per dirgli quello che pensavo.
“Grazie. Oggi è stato il giorno più bello della mia vita! Peccato sia già finito…”
“Ma non è finito: c’è ancora una cosa che non abbiamo fatto…” e mentre lo diceva mi fissava intensamente. Mi accarezzò incerto il viso e iniziò ad avvicinarsi lentamente, per capire se anche io lo volevo. Quando capii cosa stava per succedere avevo il cuore a mille. Lo baciai per prima, con una foga tale che ci trovammo a rotolare nel prato.
Alex fu il mio primo grande amore, ma alla fine del liceo si trasferì a Perugia: eravamo giovani, e la nostra storia a distanza non resse. Pensandoci bene, però, non ho nostalgia di Alex, ma di come mi sentivo quando ero con lui: libera, senza preoccupazioni.
Mi rendo conto che la canzone è finita, e con lei anche il mio viaggio nei ricordi. Eppure mi resta quello che mi ha insegnato Alex: la vita è sacrificio, ma ogni tanto dobbiamo godercela. Detto all’assistente vocale una mail, per informare il capo che sabato non posso andare all’incontro, perché ho già un impegno. Appena varco la porta corro incontro ai miei figli e dico loro di prepararsi per uscire: ceneremo al fast food! I bimbi sono al settimo cielo, mentre Carlo mi guarda perplesso, ben sapendo che non ci metto mai piede. E lo confondo ancora di più chiedendogli di prendere ferie per il sabato successivo, perché voglio passare un weekend al mare. E nella confusione che la notizia scatena in famiglia, mi ritrovo a canticchiare sottovoce “I’m gonna go, go, go, there’s no stopping me…”