Ciao, chiunque, ovunque tu sia, poliziotto o agente dell'FBI, proprio come quelli delle serie tv, io sono, ero la ragazza stesa nell'altra stanza e se vuoi, se hai tempo da dedicarmi potresti leggermi qui, e capire come la mia vita sia stata una bugia; se invece sei in ritardo e devi infilare frettolosamente questo foglio in una bustina trasparente fallo pure, qualcun altro magari vorrà dedicarmi maggiore attenzione.
Se non è passato troppo tempo da quando ho impostato lo stereo, dovrebbe ancora ripetersi una canzone.
Siediti, sempre se puoi, e ascoltala bene.
Ho sempre creduto che mille parole possano essere riassunte con sole 7 note, in base al ritmo, alla loro alternanza e ottava creano sentimenti, ricordi, nostalgia; la nostalgia stranamente era l'unica sensazione che percepivo sempre con questa canzone di pianoforte, ma non nostalgia per l'amato, non sicuramente di qualcuno, non so spiegarmelo tuttora ma è come se un filo, legato al mio cuore venisse tirato, ormai troppo spesso.
Ascoltatela da capo
Ecco sentite la convinzione iniziale? Le note accarezzate ma con sicurezza?... E ora il ritmo decellera e tutto diventa così lento e fragile, è quello che mi accade quando mi guardo dentro, tutta questa melodia mi riassume troppo bene; lascia scorrere il brano e ascolta ora, una nota amara, sta incidendo quella incertezza, che diventa solo un sussurro, sempre più debole, ma che poi, sempre più leggero sciama via.
Da me è già finita, ma non potrete aver riconosciuto la nota finale, l'ho ascoltata mille volte eppure, sembra sempre che il musicista abbia esitato; sembra che abbia esitato come ho sempre esitato io quando raccontavo di me; è difficile spiegarlo, quindi lo dirò e basta: la mia vita è, era, una bugia, non nel senso che mi divertivo a giocare con le persone falsando piccole cose, no, il mio era un problema, grosso.
Mi sono costruita con il tempo una storia, una vita bellissima, non avrei mai potuto cominciare tutto dall'inizio, e così ho finto di averlo fatto; voi infatti, se siete detective mi avrete sentita raccontare da chi mi "conosce" un po', e se invece voi foste questi ultimi, non mi avete mai conosciuta davvero.
Dimenticate la famiglia perfetta che mi ero creata, il mio paesino famigliare, l'odore di resina che dicevo di aver annusato tra i boschi con gli amici, schiacciate il tasto reset perché, nonostante quei momenti fossero così saldi nella mia mente da sembrare verosimili, in realtà nulla di questo è reale. Sogni, film,libri da ovunque trovavo avventure che avrei potuto dire di avere vissuto, affetti che mi sarei portata nel cuore.
Non mi ero mai resa conto della situazione fino a poco fa, quando ho poi scoperto che la mia condizione ha pure un nome scientifico, dovrebbe essere la mitomania:”Tendenza ad accettare come realtà, in modo più o meno volontario e cosciente, i prodotti della propria fantasia e a raccontarli come veri”; ecco ho copiato la definizione.
Da tutto questo immenso, frastornante caos di bugie potete capire quanto spesso stava diventando il filtro che divideva la vera me da non so che ragazza; ogni finta risata, ogni sorriso mi lacerava sempre più, potevo sentire il mio sangue gocciolarmi tra le ferite; svegliandomi non sapevo più chi, cosa fossi; non sapevo se e cosa stessi provando, ma faceva male comunque, e le crepe aumentavano, aumentarono, aumentano ancora, anche se tenterò di incollarne qualcuna con questi periodi scollegati.
Forse vi sto confondendo, sto scrivendo tutto di getto ma ora vi spiego meglio.
Non sono cresciuta in un paesino tra le montagne, non credo di aver mai visto un paesaggio montano, al contrario la mia casa era un bilocale con cui vivevo con mia zia, non ho mai capito perché fosse mia zia e perché stavo con lei, tuttavia non l’ho mai domandato a nessuno, forse per paura.
Le mura di quella minuscola casa erano impregnate di un odore che mi sembra d’ annusare ancora, la muffa si spargeva a chiazze intorno alle finestre e nei pomeriggi mi divertivo a trovarne la forma; quella sopra il mio letto era palesemente un uccello, assomigliava a quelle rondini che passavano di tanto in tanto nel cielo, senza fermarsi in questa sudicia città, ma andando avanti, volando tra le nuvole; chissà dove avrebbero viaggiato con tutta la libertà che avevano.
Oltre a questo in camera mia c’era un letto rivestito da una coperta marrone sgualcita, ciononostante era piuttosto calda e mi aiutava nel costruire i fortini inespugnabili fatti da cuscini ingialliti; mi rifugiavo lì dentro per ore e mi sentivo la principessa nella torre che raccontava il libro nel mio comodino, ma la torre era per me un rifugio, non assolutamente una prigione. Crescendo però il fortino è diventato sempre più piccolo, o io più grande, e quindi ho abbandonato tutto per lavorare e guadagnarmi qualcosa; non che avessi molte spese inizialmente, poi quando la zia morì dovetti darmi da fare e ho trovato questa casa appartata e piccola, un po’ come il mio fortino.
Iniziai gli studi all’università, come avrete sicuramente scoperto, ma lentamente qualcosa in me stava cambiando; avevo cancellato i miei ricordi, che sono riaffiorati solo poco fa, mi ero circondata di affetti inesistenti, auto convinta di aver vissuto in una villetta con giardino, nella mia mente in quel giardino c’era anche un albero di ciliegie dolcissime che mangiavo con mia mamma e mio papà; avrei avuto poi un cane, uno stupendo esemplare di labrador a pelo nero che dormiva abbracciato a me nel mio letto a due piazze foderato in velluto rosa.
Dopo la fantasia legata all’ infanzia ho iniziato a creare scenari surreali uno dopo l’altro, quei pochi conoscenti dell’università erano distanti anni luce da me, non mi avrebbero capita se avessi parlato, così anche per il sabato sera cominciai ad auto-convincermi di fantastiche feste che avrei vissuto, anche se ero chiusa in camera con le serrande abbassate e troppi pensieri per la testa.
Gli studi si bloccarono e smisi di dare esami, anche se continuavo a frequentare le lezioni, quelle ore vicino ad altra gente mi svuotavano; nel frastuono dei corridoi io ero sola contro il mondo; sarei potuta sparire e nessuno avrebbe notato la differenza; non voglio assolutamente incolpare qualcuno, perché so già che nessuno di voi credeva ferirmi, nemmeno quegli sguardi inesistenti per voi erano nulla, perché appunto non esistevano; per me erano tutto ciò che non avevo, tutto quello che stava formando una lista sempre più lunga.
Sto scrivendo questa lettera perché prima di volare via come quelle rondini che tanto mi incuriosivano da piccola, devo togliere questi pesi che mi farebbero precipitare, e non dispiacetevi per me, semmai doveste farlo, perche sono cosciente e consapevole; da tutta una vita vorrei scomparire da questo mondo a cui non appartengo, dove nulla ha senso ai miei occhi e io non potrò mai stare bene.
Il mio posto nel mondo probabilmente è, era già occupato, io restavo in balia degli avvenimenti come una bottiglia nel mare, gradualmente la mia aria usciva, svuotandomi per essere riempita da tutto e niente, bugie e solitudine, sale e conchiglie; sono atterrata lentamente sul fondo, quel fondo sabbioso dove sprofondano i piedi, lo stesso fondo che in continuo movimento per le onde iniziò a ricoprirmi.
Ora ho la sabbia tra i denti.
La mia vita è, era una bugia, che lentamente si sta sgretolando abbandonandomi tra le mie paranoie, non ho più una vita, o forse non l’ho mai avuta veramente.
Giudicatemi, consideratemi una pazza mitomane depressa se è quello che volete, non pretendo di essere capita da tutti, spero solo che questa mia storia sia stata degna di essere letta da te che sei arrivato fino a qui.
Ciao, chiunque tu sia, o forse meglio addio.