“Amore (per modo di dire)” di Antonio Antonelli - Bornoincontra

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“Amore (per modo di dire)” di Antonio Antonelli

Premio Letterario

"Amore (per modo di dire)” di Antonio Antonelli
Primo Premio Categoria Adulti – Edizione 2020

 

Non aveva una gran voce Nico Fidenco, ma sapeva inzuccherarla bene, e nel 1961 portò al successo “Legata a un granello di sabbia”, che inaugurò il filone, in grande spolvero nei ’60, dell’amore balneare destinato a sopravvivere alla fine dell’estate e inzuppare di rimpianto i primi grigi d’autunno, già piovosi di loro.
 
Come dimenticare il giorno in cui rapirono Moro? Giovedì 16 marzo '78 è una di quelle date che la storia strappa dallo scontato susseguirsi dei fogli di calendario e scolpisce nella memoria individuale e collettiva.
Lavoravo al ministero, mi avevano nominato segretario di una commissione di concorso e quella mattina ero a Palazzo Spada, un passo da Campo de’ Fiori, per far firmare i verbali al presidente della commissione, un consigliere di Stato.
Appena giunto, mi colpì, nel cortile, la vivace animazione di autisti, uscieri e  carabinieri di servizio, del tutto insolita per il luogo, abitualmente assorto in un felpato silenzio, e raggiunto lo studio del magistrato gliene avevo domandato la ragione, non in maniera diretta – il suo status incuteva tatto e circospezione – ma sotto forma di ipotesi : “Scusi, presidente, attendete la visita di qualche personalità, o è in programma un convegno?”
“Come, non lo sa? – la risposta – c’è stato un attentato, le br hanno ucciso Moro e gli uomini della scorta”. E le sue parole grondavano meraviglia: la notizia dell’agguato, un’ora prima, le sue prime, sommarie, concitate ricostruzioni (compresa la notizia della morte di Moro), attraverso infiniti canali, ufficiali e non, si era propagata, con l’incontenibile pervasività del bacillo contagioso di un’epidemia, impregnava di già l’aria che si respirava, ed io ne ero ancora fortunosamente immune.
Il ritorno in ufficio, in via Veneto, servì ad appurare che Moro era vivo. Ma in mano alle br, autrici della cruenta operazione, e questo era confermato.
Riposi i verbali del concorso in un cassetto, e anch’io lasciai il ministero, in una sorta di fuggi fuggi generale, dettato dalla preoccupazione – appena accennata a parole - che qualcosa di grave, una minaccia irreparabile, incombesse sul paese.  Come se quanto accaduto non fosse già di per se stesso un dramma immane. Subentrò una sorta di coprifuoco, spontaneo, non decretato da nessuna autorità, molti negozianti avevano abbassato le saracinesche, e non solo in segno di rispetto e di lutto per gli agenti di scorta trucidati in via Fani, poche ore prima.
Roma dava l’idea di un pugile “suonato”, che barcolla dopo un uppercut micidiale, appariva tramortita, spaesata, disarmata, incredula, come chi accusa le conseguenze di una sciagura prima ancora di averne afferrato appieno la portata e le cause.
Provai la stessa sensazione percepita tra i colleghi, mentre abbandonavamo il ministero, una sfasatura temporale tra gli avvenimenti e la loro elaborazione. Il timore di una minaccia che azzannava il futuro, mentre invece aveva già stracciato il nostro passato.
 
Il pomeriggio prevedeva un appuntamento con tale Zelinda, agganciata su un quindicinale di annunci gratuiti, cercava materiali per la sua tesi sulla musica leggera italiana negli anni sessanta, e mi sarei volentieri disfatto, anche gratis, della mia collezione di 45 giri: la vita reale ne aveva smontato qualsiasi vaga reminiscenza similpoetica e ormai costituivano solo un ingombro, psicologico prima ancora che materiale. Per avvalorare la proposta le avevo fatto ascoltare al telefono la canzone di Fidenco, a mo’ di credenziale. Dall’incontro” professionale” potevano scaturirne altri, successivi, di ben diverso stampo, questa almeno la mia recondita speranza.
Zelinda mi chiamò verso le tre, l’appuntamento saltava, coi posti di blocco della polizia gli spostamenti diventavano difficoltosi, se non impossibili.
E comunque, ci aveva ripensato, quanto accaduto spiazzava completamente la sua tesi, la ridicolizzava, per fortuna ne aveva buttato giù solo un paio di pagine. Si sarebbe riconvertita a un altro argomento, indagando il malessere sociale, forse si annidavano lì le radici del terrorismo. Quindi, grazie tante, e un “A presto, ciao” che il tono sbrigativo inchiodava piuttosto a un congedo definitivo, condito da un pizzico d’ insofferenza, forse il  mio secondo scopo era inavvertitamente trapelato  da qualche “piega” della voce.
Mi lasciò con l’amaro in bocca. Oltre che per il possibile “rimorchio” sfumato, soprattutto  per non averla preceduta nel disdire l’impegno: con Moro in mano ai suoi sequestratori, con la loro sfida alle istituzioni (della quale, vista l’efferatezza, sin dall’inizio non era difficile presagire l’esito tragico), appariva assurdo, quasi oltraggioso , per gli agenti uccisi, e lo stesso Moro, gingillarsi con cose che la gravità del momento declassava ad   assolutamente futili.
 
Non ci capitai per caso sulla trasmissione nazional-kitsch della domenica pomeriggio, magistralmente assecondata da una presentatrice tutta mossette.
Mi ci fiondai intenzionalmente, appena sbirciato il palinsesto: il pacchettiello dei 45 giri lo avevo piazzato in un circuito amatoriale, con discreto guadagno, in questo dovevo esser grato a Zelinda, ma i “’60 canori” in programma esalavano ancora un’irresistibile attrazione nostalgica, che, a livello razionale, trattavo con parecchia puzza sotto il naso.
Il copione non poteva non comprendere il “Granello di sabbia”, colonna sonora di quello scorcio di anni, oltre che di qualche mia esangue infatuazione adolescenziale: alla versione d’epoca, di Fidenco, registrata, seguì, dal vivo, l’esecuzione di un giovanissimo trio, gli “Una + 2”, due ragazzi e una ragazza, in chiave rock, e un arrangiamento contaminato da azzardati abbinamenti strumentali e marcate, ma non sgradevoli, forzature dei tempi musicali: anche per un “over” come me, l’originale, alquanto melenso, batteva in ritirata al cospetto del rifacimento, più consono all’orecchio moderno.  
Alla fine, salì alla ribalta la loro agente, la dr.ssa Zelinda C., si, la “mia “Zelinda, mai vista prima di allora, ma sicuramente lei, la riconoscevo dalla voce e dal piglio.
Media statura, formosa, con qualche filo bianco tra i capelli castani e qualche chilo di troppo – da lei stessa dichiarato, con la disinvolta civetteria di chi può consentirselo – rivelava ancora i riflessi di una beltà in pieno fulgore all’epoca del nostro fugace contatto, quasi a stuzzicarmi, provocatoriamente: “Guarda cosa hai perso !”
Narrò per sommi capi, senza menzionarmi, come, a seguito del “caso Moro”, fosse rimbalzata dalla musica leggera al sociale, e ritorno, scoprendo che le due categorie potevano benissimo marciare a braccetto: la sua scuderia musicale rappresentava un autentico ascensore sociale per parecchi ragazzi senza grandi mezzi, e prospettive di una vita tutta faticosamente da arrancare.  
In un’altalena di domande le più varie – tra il sensato e il pettegolezzo d’infimo conio -  la presentatrice l’interrogò sulla scelta di un pezzo così datato, in fin dei conti gli anni ’60 offrivano un repertorio di canzoni ben più vicine al sentire dei nostri giorni.
“E’ un ricordo anche per me” rispose, con l’aria complice di chi porge una primizia, confessando un segreto antico “un amore che finì con una telefonata proprio quel sedici marzo”.
Mentiva, non c’eravamo mai visti, la sua era una spregiudicata operazione di romanticismo commerciale, con una tempistica ben congegnata e funzionale al lancio del complessino  e al remake del “Granello di sabbia”.  
Ma m’incazzai con me stesso, perché nonostante tutto quella posticcia dichiarazione d’amore mi lusingava.
Motivazione della Giuria
Il ricordo di un mancato incontro con Zelinda a cui regalare un pacco pieno di 45 giri tra cui il famoso brano “Legata a un granello di sabbia” di Nico Fidenco. Tra i meriti di questo brillante e acuto racconto spicca anche l’aver saputo coniugare due piani diversi: una storia ben scritta dal lusingante finale con il realismo del tragico eccidio di Via Fani a Roma, rievocando con dovizia di particolari il clima e gli umori di quel periodo.
 
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